MATTINZOLI: «LA STRATEGIA VINCENTE PER I PICCOLI E’ METTERSI IN RETE» (CdSera – D. Bacca) marzo 2012

Mattinzoli: dobbiamo guardare oltre confine

Le aziende legate all’export hanno lavoro, prospettive, ordini. Le altre rischiano di essere tagliate fuori dal mercato.

 La ricetta è sempre quella: in un mondo globale, bisogna cercare mercati e occasioni di business fuori dal proprio orticello. In una parola, internalizzazione. Ma per le piccole imprese è una ricetta tutt’altro che semplice. Per vendere i propri prodotti all’estero servono strutture, strategie e investimenti che spesso le Pmi non si possono permettere.

Ecco perchè anche in uno scenario come quello bresciano, legato a personalismi aziendali, inizia a farsi strada l’idea di fare rete. Ma soprattutto si avverte l’urgenza di un organismo che sappia coordinare le imprese e intercettare le opportunità in giro per il mondo. Quello dell’internazionalizzazione, spega il presidente dell’Associazione Artigiani di Brescia Enrico Mattinzoli, «è una delle poche vie d’uscita per le nostre imprese. Le aziende legate all’export hanno lavoro, prospettive, ordini. Le altre rischiano di essere tagliate fuori dal mercato».

Una situazione che è ancor più evidente in un contesto come quello bresciano dove la stragrande maggioranza delle imprese non ha un proprio prodotto. «Nel 99% dei casi – spiega Mattinzoli – le piccole aziende sono imprese di subfornitura, e la crisi ha colpito in maniera pesante proprio quei contoterzisti che non hanno un mercato all’estero». Ecco perchè è «strategico» anche per i piccoli guardare oltre il confine. Ed è qui che si inserisce il ragionamento-proposta di Mattinzoli: molte di queste aziende invece di restare sub fornitrici dovrebbero sviluppare un prodotto finito. Come? «Facendo rete, mettendosi insieme ad altre piccole imprese. Ognuna metterebbe il proprio pezzo e, insieme, darebbero vita ad un prodotto completo, già vendibile sul mercato. Chi fa i lacci, chi i tacci, chi le suole. Insieme potrebbero fare una scarpa e venderla».

Esempi ce ne sono già. Antonio Antonucci è il titolare dell’omonima azienda che, da oltre vent’anni, progetta, costruisce e commercializza trasformatori a bassa tensione. Fino a qualche anno fa solo in Italia. Poi dal 2009 le cose sono cambiate. “E’ stata una necessità, con l’avvento dei Paesi emergenti abbiamo perso quote di mercato: l’offerta è aumentata e la richiesta è dimunuita. Nel 2008 abbiamo capito che l’unica strada per sopravvivere era ristrutturare il nostro modo di lavorare”. Non che sia stato semplice, per un’impresa piccola, sei dipendenti in tutto, andare a trattare in giro per il mondo. “La strategia è quella di fare rete. All’estero non ti chiedono la semplice fornitura, ma un servizio più elevato e completo”. Da qui la necessità di trovare alcuni partner “in modo da completare la gamma della proposta per l’estero”. Oramai più della metà del fatturato della Antonucci Trasformatori viene dall’export, in particolare dalla Germania, ma anche dal nord Africa e dall’Iraq. E così gli affari hanno ricominciato a girare. “Certo è un percorso che abbiamo fatto da soli. Ci sono bandi, incentivi, missioni all’estero, ma servirebbe ben altro supporto, più strutturato”.

 «Il problema – spiega il presidente Mattinzoli – è che in Italia c’è troppa dispersione. Invece servirebbe un’unico organismo che accompagni le imprese all’estero e promuova i prodotti italiani: oggi lo fanno un po’ tutti, ma senza una vera programmazione. Io credo che questo lavoro andrebbe fatto dall’Istituto per il commercio con l’estero: dovrebbe essere questo lo strumento che analizza cosa chiedono i mercati e dove ci sono le possibilità di business. A quel punto il nuovo Ice dovrebbe chiamare a raccolta le piccole imprese che offrono quei prodotti in modo da costruire una rete. Complicato? In Germania lo fanno già. Ed è per questo che hanno più successo di noi all’estero. Non per la qualità dei loro prodotti, ma pechè si presentano come squadra, e non da soli».

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