LE GRANDI BANCHE: UN RUOLO SOCIALE novembre 2011

Una riflessione del presidente Enrico Mattinzoli sull’importanza per gli istituti di credito di mantenere in vita le imprese artigianali

Concedere credito è rischioso, ma non farlo significa far chiudere migliaia di imprese, con conseguenze ancora peggiori.

Ne è passato di tempo da quando i mercanti veneziani e genovesi potenziavano le loro vie commerciali verso Oriente con l’avallo dei banchieri di Amsterdam, Londra e Firenze. Banche e Assicurazioni dall’Italia si diffusero rapidamente durante il Rinascimento in tutti i paesi europei, favorendo lo sviluppo economico.

Certo, il rischio che una  banca fiorentina del ‘500 metteva in campo per finanziare una spedizione nelle Americhe, era certamente maggiore rispetto a quello di mantenere, agli inizi del nuovo millennio, una linea di credito ad una azienda artigiana che, da quando è nata, ha sempre onorato i propri impegni e che ora, a causa di una congiuntura tanto negativa quanto eccezionale si trova in seria difficoltà.

E’ fuori dubbio che gli istituti di credito, come ogni altra intrapresa commerciale, hanno la necessità di produrre utili: aprire troppo la borsa dei quattrini per le banche che ancora ne hanno la forza, corrisponde ad aumentare il rischio, ma non farlo, in questo momento, significherebbe far chiudere migliaia di imprese, e di conseguenza, per il mondo bancario iscrivere a bilancio perdite ben superiori. Si tratta quindi, per gli istituti di credito, dal punto di vista puramente economico, di valutare quale sia il rischio minore.

Ma se per un momento le grandi banche avessero il coraggio di rimettere in discussione, non solo le logiche di mercato, ma la possibilità di recuperare un ruolo sociale caduto ormai in disuso nella modernità, sarebbero anche in grado di valutare quanto sia importante mantenere in vita le imprese artigianali, commerciali e agricole, non delegando questo gravoso compito alle banche di credito cooperativo.

La piccola impresa artigiana, commerciale, agricola, è una realtà dove il titolare lavora gomito a gomito con il proprio dipendente e con lui, condivide successi ed insuccessi e dove i valori e il senso di comunità sono ancora ben radicati.

E poi, diciamolo una volta per tutte, che le sofferenze delle banche, non sono certo da imputare alla piccola impresa, che per realizzare il sogno di veder crescere un progetto, dà in garanzia tutto quello che ha e sempre più spesso anche quello che non ha, coinvolgendo nel rischio di impresa parenti ed amici. Senza dimenticare che gli utili, le piccole imprese non li nascondono nei paradisi fiscali, ma al contrario, li hanno sempre reinvestiti in investimenti produttivi e non nella finanza creativa, quella che anche a Brescia ha bruciato in questi anni ingenti risorse.

In buona sostanza, non può essere il prodotto di un calcolo matematico di Basilea, il metro con il quale si definisce la bancabilità di un’impresa!

Quindi, ritornino le Banche non solo al Rinascimento, dove il rischio era sì veramente alto, ma almeno al Dopoguerra, dove l’etica, la serietà, la voglia di fare, il sacrificio, il senso del dovere unite alle capacità imprenditoriali, erano il presupposto fondamentale per concedere credito.

Le Organizzazioni di categoria, attraverso i loro confidi, continueranno a fare il loro mestiere, rischiando sulla fiducia e garantendo il 50% di ciò che le banche concedono, certi che questo significhi credere nel futuro e anche un po’ sognare, due ingredienti che hanno fatto grande il nostro Paese.

(LA VOCE DEL POPOLO)

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