CONTRO LA CRISI RIPARTIRE DA UOMINI E LAVORO novembre 2011

 Nell’auditorium dell’Associazione Artigiani di Brescia e Provincia, il vescovo di Brescia e il presidente del CdS di Intesa Sanpaolo si sono confrontati su principi e valori. Monari e Bazoli a confronto sui nodi economici: il nemico è il profitto finanziario esagerato, l’auspicio è regolamentare il mercato e ripensare alla crescita

 L’uomo soggetto al centro dello sviluppo. Il lavoro mezzo attraverso il quale realizzarlo considerando nuovi presupposti per favorire la crescita.

Parte da lontano, ma si basa sull’attualità, la ricetta delineata ieri in Associazione Artigiani dal presidente del Consiglio di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo (ma anche della finanziaria Mittel) Giovanni Bazoli e dal vescovo di Brescia Luciano Monari: dalle encicliche evocate dal primo fino all’abc del lavoro ricordato dal secondo.

Non che la libertà individuale sia stata esclusa – in realtà – nel dibattito degli ultimi vent’anni, in cui in fondo la figura principalmente garantita nelle sue evoluzioni è stata quella dell’imprenditore più che dell’impresa, in un periodo in cui il lavoro si è precarizzato e la libera iniziativa mitizzata oltre le sue reali possibilità di garantire benessere. Bazoli e Monari non entrano nella dicotomia imprenditore-impresa, ma ragionano su quella uomo-finanza e indicano nel profitto finanziario il vero ambito da circoscrivere per il futuro, il reale ostacolo per puntare all’obiettivo vero: ridurre la disuguaglianza, che non vuol dire tuttavia puntare all’uguaglianza, utopistica e controproducente.

«Il mercato ha bisogno di regole, e queste a loro volta non bastano: bisogna guardare più a fondo, perché il sistema economico deve ripensare il ruolo e le finalità dell’economia di mercato. L’obiettivo? Equità e riduzione delle disuguaglianze »è l’opinione di Bazoli, mentre Monari ragiona sulle prospettive: «Ciò che è bene nel lungo periodo non sempre lo è nell’immediato. Nel definire la direzione da prendere bisognerà in futuro riconoscere molto di più la realtà così come è ed immaginare scenari di benessere duraturi più che assecondare interessi immediati.

Il vescovo, davanti ad una platea fatta per lo più da autorità politiche e civili, ha mandato anche un messaggio alle istituzioni, richiamando quello che come è noto lui considera il primo compito di chi è chiamato ad amministrare e governare la realtà. Ciò che emerge più di tutto è il suo costante richiamo alla ricerca dell’empatia, che anche a livello istituzionale vede come fondamentale: «Le istituzioni falliscono il loro compito – ha detto – se si irrigidiscono e rifiutano di seguire l’uomo nella sua evoluzione.

Hanno il problema del consenso, è vero, ma non possono mai dimenticare che nella loro posizione è più facile distruggere una istituzione se viene meno il rapporto fiduciario e di riconoscimento con le comunità che devono rappresentare». Un ritorno, in qualche, modo,all’origine della politica che spesso sembra astratta dalla vita reale, ma che svilisce se stessa se non riesce a sintonizzarsi con essa.

Abilità, motivazioni, ambizione, mutua simpatia all’interno delle organizzazioni, ma anche intelligenza, ragione, bontà. Monari ha voluto elencare una serie di aspetti che caratterizzano la quotidianità del lavoro – qualsiasi esso sia – proprio per tornare alla radice dell’attività umana. «L’uomo – ha spiegato il vescovo- è un essere bisognoso, che crea in divenire nuove necessità ed esigenze, l’esperienza umana è aperta al desiderio ampio e mutevole». Ed è proprio per assecondare questa sua radice genetica che interviene il lavoro. Con un elemento di disturbo: in tempi di crisi parlando di questo argomento si tende a privilegiare l’aspetto dell’obbligo e della necessità più che quello della nobilità della propria attività. «Non è tutta poesia – ammette Monari – ma è altrettanto vero che la crescita avviene solo con gli ostacoli, ed è proprio l’essenza dell’uomo mutevole e bisognoso a trasformare in sfida l’esigenza creando qualcosa di nuovo per il futuro».

Bazoli, che tiene a precisare di non sentirsi un banchiere, parte proprio da un consiglio per i banchieri. Perché la dimensione economica che in questi anni ha scavalcato l’umanità del lavoro è proprio quella della finanziarizzazione. «Un presidente di banca – dice Bazoli – non è un gestore, nel mio ruolo ho sempre raccomandato ai miei uomini di dialogare con le Pmi e puntare alla loro valorizzazione». E il risultato a livello nazionale secondo lui è apprezzabile: «Le banche italiane erano criticate perché non rendevano come le grandi realtà anglosassoni, non sono entrate nella logica delle sofisticazioni statunitensi dove l’economia si basava sul debito».

Secondo il presidente di Intesa la crisi ha radice nel momento della caduta del muro di Berlino dell’89, ovvero dei regimi sovietici. «Ciò che è mancato è una regolamentazione: la globalizzazione è stata un fatto positivo che era impossibile limitare, ma bisognava dare dei valori diversi alle azioni, a partire da quelle della finanza».

(BSOGGI – Giovanni Armanini)

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