MERCATO DEL LAVORO: UNA QUESTIONE SOCIALE

Dal 1992 (ovvero dalla più grave caduta dell’occupazione del dopoguerra) ad oggi il mercato del lavoro ha subito grandi trasformazioni. Si sono sempre più rafforzate le cosiddette politiche del lavoro, attraverso interventi pubblici per la tutela dell’occupazione, e parallelamente un’intensa attività tesa a garantire un salario sempre meno frutto della domanda e dell’offerta.

Ne è passato di tempo da quando, agli inizi del ‘900 un giovane apprendista della Ford poteva ragionevolmente essere sicuro di concludere la propria vita lavorativa nella stessa azienda. Un giovane americano oggi prevede di cambiare tipo di lavoro almeno undici volte nel corso della sua vita. La società ed il mercato del lavoro, di conseguenza, cambia a ritmi sempre più accelerati; si pensi ad esempio che fino a dieci anni fa atipici significava lavorare part-time.

La società cambia e cambiano anche i riferimenti su cui in passato si costruivano le prospettive essenziali della propria esistenza. Il lavoro nella sua duplice funzione identitaria e strumentale è uno degli elementi cruciali nella vita degli uomini, ma paradossalmente le Borse premiano il disimpegno, le cure dimagranti ed i ridimensionamenti aziendali. Il capitale è extraterritoriale e quindi senza più radicamenti facilitando le chiusure ed i trasferimenti altrove, senza preavviso.

E’ necessario quindi adoperarsi a livello comunitario per attuare politiche del lavoro che riducano e “ammortizzino l’incertezza” ovvero uno dei mali del nostro tempo che sempre più sconvolge la vita delle persone.

Peraltro riformare il diritto del lavoro equivarrebbe a rimediare alle macroscopiche diseguaglianze economiche-sociali della modernità, dove ad esempio risultano più protetti coloro che corrono meno rischi (vedasi i contratti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai contratti atipici) e al tempo stesso, saper conciliare le necessità dell’impresa ,dove condizioni eccessivamente protette scoraggiano i datori di lavoro all’assunzione.

Dovrà inoltre essere fatto uno sforzo da parte dei paesi dell’UE per realizzare politiche permanenti di apprendimento e specializzazione che significano più qualità, più innovazione e maggior valore aggiunto dei prodotti con un conseguente incremento dei margini operativi delle aziende e dell’occupazione.

Certo è che l’attuale crisi, se supportata con lungimiranza dai governi dell’UE, può segnare una svolta epocale del mercato del lavoro in Europa ed essere l’occasione per attuare, attraverso una nuova politica di governance, una grande trasformazione sociale.

Enrico Mattinzoli (18.11.2009)

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