I RISCHI DELLA CESSIONE DI PIOMBINO A CEVITAL E I MODELLI VIRTUOSI (MA DISATTESI) DEL PASSATO ( E. Mattinzoli) dicembre 2014

Migliaia di piccole realtà artigiane specializzate, dalla meccanica alla carpenteria, andrebbero ad alimentare l’interminabile elenco di cessazioni, dissipando tecnica e sapere costruiti con fatica e passione dal dopoguerra ad oggi.

 Il sì del Governo alla algerina Cevital rischia di compromettere definitivamente il futuro della siderurgia italiana e quello di migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti. Il comparto siderurgico italiano ed europeo si trova oggi, anche a causa della crisi, appesantito da un eccesso di capacità produttiva reale di circa il 25%.

Anche se difficilmente paragonabile alle crisi più traumatiche della siderurgia degli anni 80′ e 90′, vi sono però alcune indicazioni del passato che dovrebbero dare elementi utili di riflessione. Il piano Falck del 1993, attraverso accordi di formazione e ricollocazione di migliaia di esuberi, coordinato negli anni da Riconversider (al quale il sottoscritto ebbe modo di partecipare come consigliere), portò a sviluppare nuove opportunità di business e occupazionali.

In particolare il Piano di ristrutturazione nazionale di privatizzazione delle aziende di Stato del 1994, affiancato da contributi destinati alla soppressione di capacità produttiva in eccesso, portò alla chiusura in Italia di 44 aziende siderurgiche e ad un conseguente rilancio del settore.

E’ del tutto evidente che i dubbi mossi da Federacciai all’ingresso della società algerina a Piombino sono legittimi, non tanto e non solo per una questione di concorrenza proprio in uno dei maggiori mercati di sbocco del nord Africa delle nostre produzioni, ma per l’aumento di offerta (2mln di ton. in più) nel nostro paese e in Europa, e una domanda che non c’è e che continuerà a non esserci (pur sperando in una errata valutazione degli analisti). Si tratta quindi, ancora una volta, di scelte politiche legate all’immediato, senza valutare prospettive e conseguenze future.

Se da una parte è sacrosanta la necessità di dare risposta all’occupazione toscana, sarebbe il caso di attivare produzioni alternative sfruttando, ovvero facendo una volta tanto fruttare, quei 160 MLN di investimenti pubblici attuati nel porto di Piombino, compatibili al tempo stesso con il know how di Cevital: logistica, agroalimentare e distribuzione.

Il rischio, sempre che i risultati coincidano con le aspettative, è che, pur riattivando gli impianti e assorbendo l’occupazione, entrino contestualmente in una crisi irreversibile la maggioranza delle aziende siderurgiche del nord. La sconfitta del forno elettrico nei confronti dell’altoforno potrebbe segnare un’ apparente recupero di occupazione in toscana a scapito dell’occupazione lombarda e bresciana in particolare.

In conclusione a conti fatti si tratta di analizzare se, laddove prima lo Stato e successivamente il colosso russo Severstal hanno fallito, la nuova avventura di Piombino non segni il definitivo declino della siderurgia italiana e bresciana in particolare. Brescia e il suo indotto, migliaia di piccole realtà artigiane, specializzate dalla meccanica alla carpenteria, andrebbero ad alimentare l’interminabile elenco di cessazioni, dissipando tecnica e sapere costruiti con fatica e passione dal dopoguerra ad oggi.

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