POISA E MARTINAZZOLI UOMINI D’ALTRI TEMPI

Sono passati dieci anni dalla scomparsa dello storico direttore dell’Associazione Artigiani di Brescia Lino Poisa, ma le sue riflessioni, la sua eredità sono quanto mai attuali. Lino Poisa, per chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo a fondo, era un personaggio affascinante, dall’entusiasmo travolgente, dall’intelligenza fine e rara. Nel suo ruolo di direttore, distribuiva consigli, proponeva soluzioni, anche al di fuori delle specificità del suo ambito professionale, divenendo negli anni per gli artigiani bresciani una sorta di riferimento, sul quale poter contare per una parola di conforto, piuttosto che per la saggezza di un parere.

Lo conobbi casualmente nel 1974, incrociandolo negli uffici dell’Associazione, allora, in via Vittorio Emanuele, e da subito ne rimasi affascinato, mi “assalì” come era sua abitudine, con una valanga di domande, e proponendomi dopo qualche minuto di impegnarmi a livello associativo.

Diedi seguito alla sua proposta solo dopo qualche anno, ma quel primo incontro, avrebbe segnato positivamente tante delle scelte fatte nei successivi vent’anni della mia vita. Mi coinvolse in alcune sue geniali intuizioni ed iniziative quali la costituzione dei Consorzi di Categoria, la Scuola Bottega poi gestita da Beppe Nava, la nascita del Confidi dell’Associazione Artigiani, ovvero il terzo intermediario finanziario autorizzato dalla Banca d’Italia a livello nazionale, sino alla nascita di alcuni Rotary bresciani.

Era così Poisa, istintivo, intuitivo, ti guardava negli occhi quasi sapesse cosa pensavi, quella sua sete di sapere, quella sua curiosità mai appagata, ti travolgeva e coinvolgeva senza che te ne accorgessi.

Spesso, raccontava con orgoglio di essere stato compagno di scuola di Mino Martinazzoli, altro storico personaggio bresciano che pur nella diversità di carattere, esplosivo il direttore, quanto riservato l’avvocato, erano accomunati da quella che Weber definiva il “vivere di politica” inteso come vivere al servizio della politica, piuttosto che la sempre più attuale declinazione del termine “vivere dei benefici della politica”.

Anche del senatore Martinazzoli ho un ricordo intenso, nonostante la mia conoscenza si sia, purtroppo, limitata a qualche colloquio in Loggia con l’allora Sindaco della Città e a due incontri nel suo studio, nei quali mi colpì oltre che la sua cultura e profonda conoscenza del mondo dell’artigianato, la sua amabilità e cortesia.

Un uomo, l’avvocato .Martinazzoli, del tutto ostile al culto della personalità in cui la “ragion di stato” prevaleva sempre e comunque, dove non vi era spazio per il superfluo e il banale.

Anche in questo i due illustri bresciani erano simili, nel tracciare l’orizzonte del possibile, cercando soluzioni che sarebbero state attuate da altri.

Entrambi hanno assistito impotenti al tracollo del pensiero,dell’azione di lungo periodo, al progressivo indebolimento delle strutture sociali al declino dell’uomo pubblico e al contestuale trionfo della mediocrità.

Simili nell’affrontare con rigore la vita quotidiana, testimonianza anch’essa di coerenza, lontani dall’effimero e convinti sostenitori dell’utopia, intesa come meta lontana, ambita e modellata nelle riflessioni con l’unico fine di meglio rispondere alle esigenze e ai bisogni della collettività.

Qualche giorno fa Mons. Francesco Beschi, a margine di un convegno, si domandava “non so se esistano altri Martinazzoli nella politica”; ed proprio cercando questa risposta che definirei i nostri illustri concittadini, uomini d’altri tempi.

Enrico Mattinzoli (06.10.2011)

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